Ercole Ongaro

Sono trascorsi 26 anni dalla tragica morte di Alex Langer, ma la sua testimonianza è ancora viva e attuale, anche se continua ad essere poco conosciuta e soprattutto poco praticato il suo insegnamento. Un testimone scomodo, incompreso, bersagliato, tessitore di convivenza interetnica e di incontri in contesti ostili, costruttore di ponti tra parti nemiche. Un uomo che non urlava le sue ragioni, che non imponeva la sua soluzione. Un sognatore, un visionario, un operatore di pace e di nonviolenza, un resistente. Un personaggio che affascinava per il suo tratto gentile, per la sua vivace intelligenza, per la sua profonda cultura, anche se si presentava con tono dimesso, pacato, ma coinvolgente. È stato un docente, un giornalista, uno scrittore, un traduttore, un politico, un ecologista, un utopista.

Alex Langer era nato nel 1946 a Vipiteno, in una famiglia borghese, benestante, democratica: il padre, nato e cresciuto a Vienna, era ebreo ma agnostico, medico in ospedale; la madre era di Vipiteno, farmacista, laica. In casa si parlava il tedesco: a Vipiteno gli abitanti di lingua italiana erano minoranza, soltanto un quarto della popolazione; i genitori fecero frequentare ad Alex un asilo italiano perché imparasse bene anche l’Italiano (la lingua della minoranza), poi a 5 anni la scuola elementare in lingua tedesca; frequentò la media e il liceo classico a Bolzano, in una scuola in lingua tedesca tenuta dai francescani (a Vipiteno le scuole superiori erano soltanto di lingua italiana). A Bolzano la maggioranza della popolazione era di lingua italiana e i tirolesi, come Langer, si sentivano minoranza. Nell’ Alto Adige/Sud Tirolo, di lingua e cultura tedesca, acquisito dall’ Italia soltanto nel 1919 dopo la vittoria nella Grande guerra, c’era ostilità più che dialogo tra le due comunità linguistiche, italiani e sudtirolesi.

 Ancora bambino, un giorno Alex chiese alla mamma perché papà non andava mai in chiesa: dopo avergli spiegato le origini ebraiche del papà, la mamma aggiunse: “Il papà, stando in ospedale tutto il giorno e tutti i giorni, serve Dio in altri modi. [Ricordati che] non conta tanto  in che cosa si crede, ma come si vive” (A.L, p.15[1]).

A suo padre invece Alex pose un’altra domanda cruciale: “Perché noi non odiamo gli italiani?”. Non sappiamo cosa gli rispose suo padre, ma certo, ancora adolescente, Alex si pose il problema “di come uscire da una tensione conflittuale” tra gruppi etnico-linguistici “senza percepire l’altro come nemico”(G.A., p.20[2]).

 Nel 1961, quindicenne, fonda con altri il mensile in lingua tedesca “Offenes Wort” (“Parola aperta”) su cui scrive articoli firmandoli con lo pseudonimo “miles”. I suoi articoli hanno un tono da cattolico militante, coerente, presentano una concezione rivoluzionaria del cristianesimo e l’urgenza di affrontare la questione della convivenza interetnica. E negli anni del liceo promosse un gruppo misto di giovani tedeschi, italiani e ladini, con “l’obiettivo di sperimentare cosa vuol dire la convivenza interetnica” (G.A., p.20). Erano gli anni degli attentati del movimento indipendentista sudtirolese. Sulla questione della convivenza interetnica ebbe a scrivere nel 1964 a 18 anni:

Comprendersi è un fatto essenziale per la situazione in cui viviamo. Due gruppi linguistici (ed un terzo nelle valli ladine) vivono insieme, ma non presentano una vera vita comunitaria, anzi si ignorano reciprocamente o assumono atteggiamenti ostili”. “Premessa per comprendersi reciprocamente: (…) il dovere basilare di conoscere le due lingue. Noi giovani dobbiamo essere bilingui. (…) La scuola di lingua tedesca prepara il giovane a sapersi esprimere correntemente nella lingua italiana, però non altrettanto accade nella scuola italiana. [È assurdo] che spesso un giovane di madrelingua italiana esca dalla scuola sapendo l’inglese ed ignorando il tedesco”. “Dobbiamo smantellare la diffidenza reciproca”, “seppellire i molti pregiudizi” (A.L, pp.25-26, 30).

Alex in quel contesto difficile cercò – come ha scritto – di attuare una condotta che gli “consentisse di restar solidale con la [sua] comunità e insieme di non essere nemico dell’altra; di non esaurirsi  nell’identificazione con una  fazione, una situazione” (A.L., p. 107).

Nel 1964, dopo la maturità classica, è matricola all’università di Firenze, facoltà di giurisprudenza, dove si laurea nel luglio 1968: in quegli anni frequenta i movimenti del dissenso cattolico fiorentino. Firenze è una città piena di fermenti e di personaggi straordinari: Alex conosce e frequenta le lezioni di La Pira, suo professore; si laurea con Paolo Barile, uno dei maggiori costituzionalisti; entra in contatto con i redattori della rivista “Il Ponte”, di cui era direttore Enzo Enriques Agnoletti, e con i redattori della rivista “Testimonianze” diretta da padre Balducci, di cui seguiva anche le conferenze settimanali; ma “l’incontro più profondo è con don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana”. Riferì dell’incontro con don Milani in un articolo del 1987 su “Azione nonviolenta”: vi era andato, assieme a un amico, mentre divampava la polemica tra don Milani e i cappellani militari che avevano definito “viltà l’obiezione di coscienza al servizio militare”. Don Milani prospettò loro una scelta radicale:

“Dovete abbandonare l’Università. Voi non fate altro che aumentare la distanza che c’è tra voi e la grande massa della gente non istruita. Fate qualcosa per colmare quella distanza. Portate gli altri al livello in cui voi vi trovate oggi, e poi tutti insieme si farà un passo avanti, e poi un altro ancora. Ma se voi continuate a correre, gli altri non vi raggiungeranno mai” (A.L., p. 71).

Alex e il suo amico non lasciarono l’Università, ma, stimolati dalla provocazione di don Milani, aprirono un doposcuola in un quartiere della periferia di Firenze, basato sul volontariato degli universitari e frequentato dai figli degli immigrati meridionali.

 Negli ultimi mesi del periodo fiorentino, fondò con altri giovani intellettuali sudtirolesi il mensile “Die Brücke” (“Il Ponte”), ispirandosi all’omonima rivista fiorentina. Nell’autunno del ’68, dopo la laurea in giurisprudenza a Firenze, passò a Trento per frequentare sociologia, facoltà fucina della contestazione studentesca; si laureò in sociologia nel luglio 1972.

Subito dopo fece il servizio militare, fino al settembre 1973: artigliere di montagna. Poi per un anno si recò in Germania Federale con una borsa di studio dell’Università, lavorando tra gli immigrati.

Ritornato in Italia, collaborò con il quotidiano “Lotta Continua”, di cui diventò anche direttore per alcuni mesi, e intraprese l’insegnamento di Storia e Filosofia in un liceo scientifico di Roma: esperienza che lo deluse e lo fece sentire a disagio “per il manifesto disinteresse di gran parte degli studenti subentrato a una lunga stagione di lotte e di impegno” (A.L., p. 56). Dopo tre anni gettò la spugna. Era il 1978, i mesi del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.

In quei mesi morì un giovane poeta sudtirolese, Norbert Kaser, che Langer stimava per la sua concezione di una cultura indipendente dal potere: accompagnando la bara dell’amico maturò la decisione di non “voltare le spalle” alla sua terra, quindi di “tornare nel Sudtirolo”, perché valeva la pena cercare di fare qualcosa per cambiare la difficile situazione dei rapporti interetnici. Accettò di candidarsi alle elezioni per il Consiglio Regionale nella lista Neue Linke/Nuova Sinistra: risultò eletto. Passò a collaborazioni con le Università di Trento, di Urbino e di Klagenfurt e si dedicò all’attività di traduttore (tradusse in tedesco anche “Lettera a una professoressa” della Scuola di Barbiana).

Nel 1981, in concomitanza con il censimento generale della popolazione, il Comune di Bolzano aveva chiesto ai cittadini di dichiarare la propria appartenenza etnica a uno dei tre gruppi linguistici: tedesco, italiano, ladino. Langer fu uno dei 5.000 cittadini, tra cui sua madre, che fecero obiezione di coscienza a questa imposizione e per questo furono marchiati come “apolidi etnici”. Non fare la scelta significava essere banditi da ogni carica pubblica, dall’ alloggio popolare, dall’ assunzione in uffici pubblici, dalla vita sociale regolamentata; Alex denunciò che il “certificato di appartenenza al gruppo linguistico è diventato davvero la tessera del pane in Alto Adige, senza la quale si finisce nella marginalità, a meno di essere indipendenti da ogni istituzione, certificato e credito” (p.89).  Per Langer la schedatura etnica era “il più grave attentato alla democrazia, l’avvelenamento dei rapporti interetnici nel Sudtirolo”. Per lui l’alternativa era la “cultura della convivenza”, come già aveva intuito e praticato fin dall’ adolescenza.

Nel 1983 e poi nel 1988 si ripresentò alle elezioni regionali e fu eletto: prima nella lista “Un altro Sudtirolo/Das andere Südtirol, poi nella lista “Alternativa verde/Grüne Alternative”. Il suo impegno politico dall’inizio degli anni ’80 è nettamente improntato a far crescere in Italia e in Europa una sensibilità ecologica. Fu tra i fondatori e artefici del movimento dei Verdi italiani e gli fu affidato il compito di tenere la relazione introduttiva alla prima assemblea nazionale delle liste verdi a Firenze nel 1984; ma fu riconosciuto anche come uno dei principali promotori e leader del movimento dei Verdi in Europa. Un quotidiano romano lo definì il “profeta verde”.

Langer non si limitava a candidarsi e a adempiere ai doveri di chi è stato eletto, ma conduceva una assidua ricerca teorica e pratica sulle grandi questioni nazionali e internazionali; le principali per lui erano tre: prima la convivenza tra etnie e tra popoli, che lo aveva coinvolto fin da giovane (e alla quale ho già accennato), seconda l’ecologia, terza la pace.

Gli scritti che elabora e i gesti che compie sulle queste tre problematiche sono attuali ancora oggi. Nel campo ecologico già nel 1987 introduce il concetto di “conversione ecologica”, che l’enciclica “Laudato si’” nel 2015 ha autorevolmente riproposto all’ attenzione del mondo, e cui è dedicato l’intero paragrafo III del cap. VI (pp. 162-166). In un convegno a Brentonico Langer nell’ agosto 1987 tenne una relazione dal titolo: Un catalogo di virtù verdi, a cui lui assegnava anche un peso nell’ etica politica.

 La prima di queste virtù è quella dell’auto-limitazione, derivante da una duplice consapevolezza: quella del limite e quella di avere già superato i limiti[3]. Tale consapevolezza deve innescare un processo di cambiamento, cioè un “conversione ecologica”,  che è la seconda “virtù verde”:

“Per conversione ecologica intendo la svolta oggi, quanto mai necessaria ed urgente, per prevenire il suicidio dell’umanità e per assicurare l’ulteriore abitabilità del nostro pianeta e la convivenza tra i suoi esseri viventi” (Bressanone, 4 gennaio 1989).

“La conversione non è solo un termine spirituale, ma è anche un termine produttivo, economico. [Essa consiste nel ] riconvertire o convertire la nostra economia, la nostra organizzazione sociale verso rapporti di maggior compatibilità ecologica e di maggior compatibilità sociale, di minore ingiustizia, di minore divaricazione sociale, di minore distanza tra privilegi da una parte e privazioni dall’altra” (p.134)[4].

Per avviarsi sulla strada della conversione ecologica vanno cambiati i parametri di riferimento dell’assetto sociale e individuale. La nostra civiltà, secondo Langer, si è costruita all’insegna del motto olimpico proposto da Pierre De Coubertin “più velocemente, più in alto, più fortemente” (citius, altius, fortius), che è diventato “la norma quotidiana e onnipervadente”, “la quintessenza dello spirito della nostra civiltà” (A.L., p.146). Abbiamo invece bisogno di adottare una concezione alternativa: “Più lentamente, più profondamente, più dolcemente” (lentius, profundius, suavius).

Più lentamente, più profondamente, più dolcemente

Provo a commentare questo trinomio.

Più lentamente: per non accrescere le distanze tra i giovani e i vecchi, tra i sani e gli ammalati, tra i ricchi e i poveri; per essere attenti ed empatici con chi ci è vicino; per scoprire la bellezza nascosta nel quotidiano; per prenderci cura dei più deboli; per contemplare le albe e i tramonti.

Più profondamente: per non fermarsi alle apparenze superficiali; per cogliere ciò che è essenziale nella vita; per conoscere e abitare la propria interiorità; per attingere a energie inesplorate; per stare nel flusso della vita con attenzione e gratitudine.

Più dolcemente: per risolvere i conflitti in modo nonviolento, senza ricorrere alla forza; per essere per l’altro l’aiuto di cui ha bisogno; per coltivare valori autentici, relazioni fraterne; per restare umani e rendere più ospitale la terra.

Sarebbe però illusorio pensare che una correzione di rotta così radicale possa essere introdotta attraverso imposizioni dall’ alto: va messo in atto un lungo processo di educazione, che sensibilizzi cittadini e società al rispetto della natura non al suo sfruttamento forsennato mirante solo al profitto, che  fermi la corsa al consumo di suolo e alla dilapidazione di enormi risorse per produrre e acquistare armi, che valorizzi stili di vita più sobri, un’alimentazione non centrata sul consumo di carne che è tra le principali cause della deforestazione. Langer era convinto che i veri cambiamenti partono dal basso, dalla società civile.

Il tema della conversione ecologica è stato ripreso da Langer in tante occasioni, con articoli e conferenze: era però consapevole che “non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (Cernobyl, Fukushima, clima impazzito, incendi di foreste, scioglimento dei ghiacciai e del polo artico…) a convincerci a cambiare strada. Ci vorrà una spinta positiva”, il sentire che il cambiamento dei nostri stili di vita, ci giova, ci fa star meglio, ci fa gustare più intensamente la vita (A.L., p. 332). Ci vorrà una rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile” (A.L., p. 146)

Nel 1989 Langer fu eletto anche al Parlamento europeo nella circoscrizione del Nord-Est e divenne presidente del Gruppo Verde europeo nel Parlamento. Sarà rieletto nel 1994. Con la presenza nel Parlamento europeo Langer, pur non abbandonando la sua militanza ecologista, intensificò il suo impegno a favore di una cultura di pace, il cui  presupposto è la convivenza interetnica. Dopo pochi mesi la sua elezione ci fu la caduta del muro di Berlino, la fine della guerra fredda, la corsa dell’Occidente alla conquista incontrastata dell’Est europeo e del Sud del mondo: la prima guerra del Golfo (1991), il ritorno della guerra tra popolazioni europee, che perdurò un decennio dal 1991 al 1999 (dalla guerra tra Croazia, Bosnia e Serbia, alla guerra della Nato contro la Serbia per il Kossovo). Langer fu in prima linea nello scongiurare questo precipitare nella guerra, nel tessere relazioni con i gruppi che – su fronti nemici – cercavano soluzioni nonviolente ai conflitti, nel partecipare a incontri locali di controinformazione su invito dei gruppi attivi per la pace (venne anche a Lodi).

La questione jugoslava fu il principale assillo di Langer negli ultimi anni della sua vita. Da parlamentare europeo cerca di coinvolgere le forze pacifiste ed ecologiste dell’Europa Comunitaria perché si facciano promotrici di solidarietà interetnica in Jugoslavia e tra le sue repubbliche. Con questo obiettivo dirige gli sforzi su iniziative che possano creare ponti di dialogo, che sostengano chi si pone al di fuori della logica conflittuale di divisione e di epurazione etnica, saltatori di muri, costruttori di ponti, “esploratori di frontiere”.

Nel Parlamento europeo promosse nei primi mesi del 1992 il “Forum di Verona per la pace e la riconciliazione nell’ex Jugoslavia“, la più importante rete di collegamento tra democratici e associazioni di tutte le regioni ed etnie dell’area ex-jugoslava per tentare di trovare ascolto presso le istituzioni europee.

 Nel Parlamento europeo sostenne con forza l’istituzione del Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia (deliberata nel novembre 1993) e fu assertore di un intervento della comunità internazionale tramite forze dell’ONU nell’ex Jugoslavia, anche se era consapevole che l’intervento internazionale, l’uso della forza, doveva essere accompagnato dalla mobilitazione delle forze nonviolente della società: propose quindi la costituzione di un “Corpo civile di pace europeo”, adeguatamente organizzato e sostenuto dall’ Unione Europea, dispiegato sul territorio, per svolgere compiti civili di prevenzione e mediazione dei conflitti, di promozione di contatti, negoziati e riconciliazione.

Questi anni di febbrile, instancabile, attivismo contro le guerre e per la pace, costellati da difficoltà e delusioni, gli esaurirono tutte le energie. Nel giugno del 1995 gli viene anche negata la candidatura a sindaco di Bolzano, avendo confermato la sua obiezione a dichiarare l’appartenenza etnica[5]. A fine giugno a Cannes, mentre si svolgeva un vertice dei Capi di Stato e di governo europei, fu organizzata una manifestazione per chiedere all’Europa di uscire dalla sua inerzia di fronte alla guerra nei Balcani: Langer, che ne era stato uno dei promotori, vi partecipò e rimase molto deluso dal vertice di Cannes, che non affrontò le proposte contenute  nell’appello  «L’Europa  muore  o  rinasce  a  Sarajevo». 

Pochi giorni dopo, il 3 luglio, Langer si tolse la vita nei pressi di Firenze, impiccandosi a un albero, dopo aver scritto alcuni messaggi intrisi di infinita stanchezza e disperazione. In quello scritto in tedesco agli amici citava una frase del Vangelo:

«I pesi mi sono diventati davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. ‘Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati’. Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto” (G.A., p. 59).

  Alex aveva offerto la chiave di interpretazione della sua straziante scelta, nelle parole scritte, tre anni prima, per la tragica morte della sua cara amica, pacifista, Petra Kelly, “il volto più conosciuto” dei Verdi tedeschi: morta suicida nell’ottobre 1992 insieme al suo compagno Gert Bastian, anche lui esponente dei Verdi, ex generale diventato pacifista, sostenitore del disarmo:

Forse è troppo arduo essere individualmente dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere. Addio Petra” (A.L., p.85).

Ma nel messaggio ultimo del 3 luglio Alex non mancò di invitare gli amici a non abbandonare la lotta: “Continuate in ciò che era giusto!”.

Unitre, 26 maggio 2020


Alexander Langer, Il Viaggiatore leggero. scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996.

Giulia Allegrini, Una vita più semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Altraeconomia (2005?).

“Ci sta davanti probabilmente il passaggio da una civiltà del ‘di più’ ad una del ‘può bastare’ o del ‘forse è già troppo’. (…) La traversata da una civiltà della gara per superare i limiti ad una civiltà dell’autolimitazione, dell’enoughness, della Genügsamkeit o del Selbstbescheidung, della frugalità sembra tanto semplice quanto immane” (A.L., pp. 330-331).

Una terza virtù verde è l’obiezione di coscienza:

“È la capacità di dire no al potere, ma anche la capacità di obiezione anti-consumistica, di obiezione al conformismo televisivo, di obiezione da parte di operai e tecnici alla produzione di armi. (…) Non basta lottare perché cambi il sistema (cosa di cui riconosciamo l’importanza fondamentale), ma occorre anche rifiutare di apportare il [nostro] contributo al [funzionamento e alla persistenza] del sistema, che ci farebbe essere dei pezzetti dell’ingranaggio del sistema” (p.134). Chi si sente soltanto un pezzo dell’ingranaggio di un sistema perverso, disumano, tende ad autodifendersi dicendo di non aver avuto responsabilità di programmazione o di direzione, di aver avuto un ruolo marginale che non poteva influire sul meccanismo complessivo del sistema.

La dichiarazione di appartenenza etnica fu abrogata in vista del censimento della popolazione del 2011: un riconoscimento postumo a Langer e a chi con lui si era battuto per scongiurarne l’introduzione trent’anni prima.